Con il d.lgs. n. 141/2011, il legislatore ha fornito chiarimenti interpretativi in ordine ad alcuni punti delicati del d.lgs. n. 150/2009, tra i quali sono ricompresi anche vari aspetti concernenti la contrattazione collettiva e più in generale le relazioni sindacali, con particolare riferimento alla reale portata ed alla data di decorrenza delle nuove regole.
Con il d.lgs. 1 agosto 2011, n.141, recante modificazioni ed integrazioni al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.150 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni (pubblicato nella Gazz.Uff. 22 agosto 2011, n.194), è stata realizzata una limitata e circoscritta operazione di “restyling” della nuova disciplina in materia lavoro pubblico contenuta nel d.lgs.n.150/2009.
L’art.2, comma 3, della legge delega 4 marzo 2009, n.15, come è noto, in analogia alle pregresse previsioni contenute anche nelle altre leggi deleghe in materia di lavoro pubblico n. 421/1992 e n. 59/1997, ha disposto che: “Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può adottare eventuali disposizioni integrative e correttive, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi principi e criteri”.
Prima della scadenza del termine stabilito dalla legge, dunque, il Governo si è avvalso della possibilità di ritornare su alcuni punti della precedente regolamentazione contenuta nel d.lgs. n. 150/2009.
Alla base di tale ulteriore intervento, come evidenziato nella relazione illustrativa del d.lgs. n. 141/2011, vi era sia la necessità di fornire chiarimenti certi, attraverso appunto lo strumento legislativo, in ordine alla reale portata ed alla data di decorrenza della efficacia di alcune disposizioni del suddetto decreto legislativo, al fine di garantire la correttezza dei comportamenti delle amministrazioni; sia l’esigenza di adeguare i contenuti stessi di alcune altre disposizioni del medesimo decreto legislativo alle effettive esigenze di alcune particolari tipologie di amministrazioni, cosi come emerse nella fase di applicazione della riforma, in modo da assicurare la più ampia coerenza delle nuove regole con gli assetti organizzativi delle amministrazioni ed evitare, conseguentemente, ogni possibile intralcio o difficoltà nell’attuazione delle stesse.
Gli interventi di “manutenzione” posti in essere dal Governo, anche se quantitativamente ridotti, hanno comunque una indubbia rilevanza sotto il profilo qualitativo, in considerazione delle significative innovazioni introdotte nella pregressa formulazione di alcune disposizioni del d.lgs. n. 150/2009, afferenti a materie di indubbia complessità e delicatezza: relazioni sindacali, limiti in materia di conferimento di incarichi dirigenziali presso gli enti locali, valutazione delle performances e fasce di merito, risorse aggiuntive connesse al cosiddetto “dividendo dell’efficienza”.
Come si vede, si tratta di aspetti concernenti punti nodali della stessa riforma del lavoro pubblico operata con il d.lgs. n. 150/2009, rispetto ai quali le nuove norme, senza stravolgere o modificare in modo sostanziale il precedente assetto regolativo, intendono solo rimuovere quegli elementi di criticità riscontrati nella prima fase attuativa della stessa.
Il nuovo decreto legislativo si compone di 6 articoli.
In questa sede saranno oggetto di disamina solo gli artt. 5 e 6 in quanto più attinenti, direttamente o indirettamente, alla materia della contrattazione collettiva e più in generale delle relazioni sindacali.
Art. 5, comma 1 Poiché il d.lgs. n. 150/2009, con la profonda ridefinizione della linea di confine tra la competenza della legge e quella della contrattazione collettiva nella disciplina del rapporto di lavoro, era sicuramente destinato ad incidere significativamente sui comportamenti degli attori negoziali a livello decentrato, come sino ad allora posti in essere, il legislatore si era, all’epoca, preoccupato di prevedere anche un regime transitorio per consentire l’adeguamento dei contratti integrativi alle nuove regole.
In base alla disciplina prevista (art.65, commi 1, 2 e 4, del d.lgs. n. 150/2009), dunque, le parti negoziali decentrate potevano adeguare i contenuti dei contratti integrativi vigenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009 alle previsioni dello stesso in materia di oggetto della contrattazione e di sistemi premiali e di incentivazione della produttività del personale (Titolo III del d.lgs. n. 150/2009), entro il termine del 31 dicembre 2010.
Per il comparto delle Regioni e per quello delle Autonomie locali, invece, il legislatore ha previsto che l’adeguamento dovesse avvenire entro il 31 dicembre 2011.
Ove, entro il 31.12.2010 ed entro il 31.12.2011 per il comparto Regioni-Autonomie locali, non fosse intervenuto l’adeguamento, era previsto che i medesimi contratti integrativi avrebbero cessato, comunque ed automaticamente, la loro efficacia rispettivamente dal 1° gennaio 2011 e dal 1° gennaio 2012.
Proprio per le amministrazioni destinatarie del più ampio termine di adeguamento, nella prassi applicativa si sono registrati scostamenti.
Infatti, proprio in relazione ad esso, in molti casi si è ritenuto, a livello decentrato, che la prevista ultroattività dei contratti vigenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009 (15.11.2009) riguardasse anche quelli sottoscritti oltre tale data ma comunque prima del 31.12.2011.
Ciò nonostante che alcune indicazioni sulla limitazione della ultroattività ai soli contratti integrativi stipulati prima del 15.11.2009 fossero state fornite dal Dipartimento della funzione pubblica con le circolari n. 7/2010 e n. 7/2011.
Stante questa situazione, in considerazione anche della complessa formulazione della disposizione legislativa ed al fine di evitare il reiterarsi di applicazioni distorte, con possibili problemi di contenzioso, il Governo ha optato per un nuovo intervento legislativo in materia, nella forma dell’interpretazione autentica (al fine di garantire la retroattività dello stesso) delle citate previsioni dell’art. 65, commi 1, 2 e 4, del d.lgs. n. 150/2009.
Con l’art.5, comma 1, del d.lgs. n. 141/2011 si chiarisce definitivamente che l’ultroattività dei contratti collettivi integrativi, prevista dall’art.65, comma 2, del d.lgs. n. 150/2009, opera solo nei confronti di quelli già “vigenti” al 15.11.2009, data di entrata in vigore del suddetto decreto.
Conseguentemente, i contratti collettivi integrativi successivi alla predetta data dovevano e devono essere stipulati nel rispetto delle disposizioni contenute nel medesimo decreto legislativo, da ritenersi immediatamente efficaci, comprese le norme che prevedono la sostituzione automatica delle clausole contrattuali nulle, quelle di azione che attribuiscono poteri alla pubblica amministrazione nonché quelle che impongono ai medesimi contratti collettivi un contenuto obbligatorio.
Art. 5, comma 2
La norma dà soluzione ad un problema particolarmente grave emerso sempre in sede di attuazione delle nuove previsioni del d.lgs. n. 150/2009: quello della immediata applicabilità o meno, dalla data della sua entrata in vigore, delle disposizioni del decreto concernenti la materia delle relazioni sindacali, con particolare riferimento alla contrattazione collettiva.
In proposito, si deve ricordare che il legislatore, mentre per la contrattazione integrativa ha previsto un particolare regime transitorio per l’adeguamento dei contenuti della stessa alle nuove regole introdotte con la riforma (art. 65, comma 1, 2 e 4, del d.lgs. n. 150/2009), relativamente alla contrattazione nazionale si è limitato (art. 65, comma 5, del d.lgs. n. 150/2009) a disporre: “Le disposizioni relative alla contrattazione collettiva nazionale di cui al presente decreto legislativo si applicano dalla tornata successiva a quella in corso”.
Proprio la stringatezza e genericità della formulazione della norma ha ingenerato, in qualche caso, il dubbio che le nuove regole in materia di possibili ambiti di intervento della contrattazione collettiva (e della concertazione) potessero trovare applicazione solo a seguito della sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali relativi alla tornata contrattuale successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009.
Accettando tale tesi interpretativa, si perveniva alla conclusione di escludere ogni incidenza delle nuove regole sui contratti collettivi nazionali vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo.
In tal modo, conseguenzialmente, si ammetteva che avrebbero continuato a trovare applicazione, fino ai futuri rinnovi contrattuali post riforma, con effetti vincolanti per le amministrazioni, tutte quelle clausole dei CCNL vigenti che demandavano alla contrattazione integrativa o alla concertazione, a livello decentrato, materie che, attenendo o all’organizzazione degli uffici o all’organizzazione del lavoro, in base al nuovo assetto delle relazioni sindacali definito dal d.lgs. n. 150/2009, non possono più costituire oggetto né di attività negoziale né di concertazione.
Questa interpretazione si traduceva, sostanzialmente, nell’ammissione della possibilità della contrattazione collettiva nazionale di porre limiti alle esclusioni per essa previste dalla legge o, comunque, di rinviare, sine die, l’applicazione di questa, in contrasto con i principi dell’art. 97 della Costituzione.
L’applicazione della legge, quindi, sarebbe stata demandata alle mutevoli considerazioni della futura contrattazione collettiva.
Proprio per chiarire la effettiva portata delle previsioni del d.lgs. n. 150/2009, con specifico riferimento proprio alla diversa decorrenza applicativa delle nuove regole, il Dipartimento della funzione pubblica aveva già fornito alle pubbliche amministrazioni gli opportuni chiarimenti con la già citata circolare n. 7/2010.
In particolare, relativamente ad alcune disposizioni, tra le quali vi sono anche quelle relative alle nuove materie oggetto di contrattazione collettiva nazionale, veniva affermato che, non essendo previsto dalla legge uno specifico termine di adeguamento, esse non potevano non operare che dal 15 novembre 2009, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/ 2009.
Pertanto, da quella data, nei confronti dei contratti collettivi che disponevano in modo diverso trovavano applicazione i meccanismi di eterointegrazione contrattuale previsti dagli artt. 1339 e 1414, secondo comma, codice civile, ai sensi dell’art. 2, comma 3-bis, del d.lgs. n. 165/2001 (come modificato dall’art. 33 del d.lgs. n. 150/2009).
In queste ipotesi, dunque, la norma contrattuale, anche nazionale, difforme (in quanto disciplinava direttamente o demandava alla contrattazione integrativa materie ora precluse) doveva ritenersi automaticamente sostituita da quella primaria contenuta nell’art. 5, comma 2 (come modificato dall’art. 34 del d.lgs. n. 150/2009), avente, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, carattere imperativo e, quindi, di inderogabilità, al pari di tutte le norme del d.lgs. n. 165/2001.
Pertanto, in tutte le materie riconducibili al citato nuovo art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, le forme di partecipazione sindacale, anche se già previste dai contratti nazionali, dovevano comunque considerarsi “retrocesse” alla sola informazione sindacale.
A maggior ragione, secondo il Dipartimento della funzione pubblica, per dettato testuale ed esegesi sistematica, nelle materie oggetto di macro-organizzazione, nei cui margini è contenuta l’attività di micro-organizzazione ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, non potevano attivarsi forme di partecipazione sindacale diverse dall’informazione.
La stessa circolare n. 7/2010 ha precisato che, comunque, resta fermo il vincolo, più pregnante, della consultazione sindacale sia pure nei casi previsti espressamente dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 (l’organizzazione e la disciplina degli uffici;la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche; la programmazione dei fabbisogni).
Ulteriori chiarimenti nello stesso senso sono stati forniti dal medesimo Dipartimento della funzione pubblica anche con la circolare n. 7/2011.
Ciò, peraltro, non è valso ad evitare l’insorgere di un significativo contenzioso al livello decentrato con le OO.SS. che, in quanto interessate a salvaguardare i precedenti assetti delineati dalla contrattazione collettiva vigente con riferimento agli ambiti sia della contrattazione integrativa sia della concertazione, hanno sostenuto dinanzi ai giudici del lavoro la tesi interpretativa dell’efficacia differita all’esito della futura contrattazione collettiva delle nuove regole del d.lgs. n. 150/2009.
L’attenzione dei ricorrenti si incentrava, essenzialmente, proprio sulla formulazione testuale dell’art. 65, comma 5, del d.lgs. n. 150/2009 (Le disposizioni relative alla contrattazione collettiva di cui al presente decreto legislativo si applicano dalla tornata successiva a quella in corso) evidenziandosi che, in mancanza di un espresso regime transitorio, la norma doveva essere intesa in modo tale da armonizzarsi sistematicamente con le disposizioni dei commi precedenti del medesimo art. 65 ovvero nel senso che le norme del decreto che riguardano la contrattazione collettiva nazionale potevano trovare applicazione solo in riferimento ai contratti collettivi nazionali stipulati dopo l’entrata in vigore della riforma e non a quelli stipulali anteriormente.
Su questo contenzioso, delicato proprio per le conseguenze limitative che ne potevano derivare sulla effettiva attuazione della riforma (soprattutto sul punto della immediata operatività delle norme sui poteri datoriali), si è registrato un andamento altalenante della giurisprudenza.
Infatti, undici sentenze (Trib. Pesaro, 2 dicembre 2010; Trib. Cosenza 20 settembre 2010; Trib. Venezia 11 marzo 2011; Trib. Frosinone 14 marzo 2011; Trib. Catanzaro 18 marzo 2011; Trib. Verona 21 marzo 2011; Trib. Messina 10 maggio 2011; Trib. Genova 6 giugno 2011; Trib. Cagliari 15 giugno 2011; Trib. Roma 1 luglio 2011; Trib. Tivoli, 11 agosto 2011) hanno sostenuto la tesi dell’immediata efficacia applicativa delle previsioni del d.lgs. n. 150/2009 in materia di contrattazione collettiva, in conformità alle indicazioni delle circolari del Dipartimento della funzione pubblica sopra richiamate; nove pronunce, invece, sono intervenute nel senso dell’efficacia differita alla futura contrattazione nazionale (Trib. Torino 2 aprile 2010 e 28 giugno 2010; Trib. Salerno 18 luglio 2010; Trib. Pesaro 19 luglio 2010; Trib. Lamezia Terme 7 settembre 2010; Trib. Trieste 5 ottobre 2010; Trib. Bologna 21 marzo 2011; Trib. Oristano 10 maggio 2011; Trib. Nuoro 1 giugno 2011).
Al fine di chiarire definitivamente la portata e gli effetti dell’art. 65, comma 5, del d.lgs. n. 150/2009, stante l’andamento altalenante della giurisprudenza in materia, suscettibile comunque di influire negativamente sull’attuazione della riforma, il legislatore è intervenuto direttamente sulla norma controversa.
Con l’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 141/2011, infatti, viene data l’interpretazione autentica di tale norma, secondo la quale le disposizioni relative alla contrattazione collettiva nazionale, che si applicano dalla prossima tornata contrattuale, sono solo quelle concernenti il procedimento di approvazione dei contratti collettivi nazionali (stipulazione e controllo).
Tutte le altre disposizioni del decreto, conseguentemente, sono da ritenersi immediatamente applicabili sin dalla sua entrata in vigore (comprese quelle sui poteri del datore di lavoro pubblico che sostituiscono alla vecchia concertazione dei provvedimenti organizzatori la mera informazione ai sindacati).
A seguito di tale chiarimento interpretativo, viene definitivamente evidenziato che devono ritenersi pienamente efficaci, e quindi applicabili, sin dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009, in particolare le norme di cui:
all’art. 33, modificativo dell’art. 2 del d.lgs. n. 165/2001 (natura imperativa delle previsioni del d.lgs. n. 165/2001; deroghe alla riserva di contrattazione in materia di trattamento economico; sistema di etero – integrazione delle clausole contrattuali nulle);
all’art. 34, modificativo dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 (nuovo ambito dei poteri unilaterali organizzativi e gestionali delle P.A.);
all’art. 54, comma 1, modificativo dell’art. 40 del d.lgs. n. 165/2001 (disposizioni in materia di competenza regolativa della contrattazione collettiva);
alle disposizioni di cui al Capo IV del Titolo IV in materia di contrattazione collettiva nazionale e integrativa.
Art.6
In tale articolo è toccata una materia che non è direttamente connessa alle relazioni sindacali o alla contrattazione collettiva, ma che sicuramente vi può essere ricondotta, anche se in via indiretta come vincolo alle sue prescrizioni.
Infatti, viene dettata una particolare disciplina transitoria per la effettiva applicazione del sistema della differenziazione retributiva in fasce, di cui agli artt. 19, commi 2 e 3, e 31, comma 2, del d.lgs. n. 150/2009.
In materia, tuttavia, occorre preliminarmente richiamare i contenuti della significativa Intesa Governo – Confederazioni sindacali del 4 febbraio 2011.
Stante il rinvio, disposto dall’art. 9, comma 17, della legge n. 122/2010 e poi dall’art.16 della legge n. 111/2011, fino al 31.12.2014, dei rinnovi contrattuali per il lavoro pubblico, al fine di garantire comunque un sistema di relazioni sindacali idoneo a perseguire condizioni di produttività ed efficienza del lavoro pubblico, tale Intesa ha previsto che:
a) “…. le retribuzioni complessive, comprensive della parte accessoria, non devono diminuire per effetto dell’applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 150/2009”….;
b) “a tale scopo per l’applicazione dell’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 150/2009 potranno essere utilizzate esclusivamente le risorse derivanti dall’applicazione del comma 17 dell’art. 61 del d.l. n. 112/2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 133/2008 (c.d. dividendo dell’efficienza)”.
Inoltre, nella medesima Intesa, “Il Governo si impegna a definire entro 15 giorni dalla data di sottoscrizione del presente accordo, secondo le procedure previste dal decreto legislativo 165/2001, un atto di indirizzo all’ARAN per la stipulazione di un accordo quadro che regoli il sistema di relazioni sindacali previsto dal decreto legislativo 165/2001, alla luce della riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, firmata il 30 aprile 2009 per i comparti del pubblico impiego e del decreto legislativo 150/2009”.
Sul primo punto, quello concernente il differimento dell’efficacia applicativa, si è reso necessario ricorrere allo strumento legislativo per la sua effettiva attuazione.
Infatti, trattandosi di un accordo di carattere “politico”, esso non poteva avere alcuna efficacia regolativa diretta.
Inoltre, poiché per l’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 150/2009 non è previsto, nella disciplina legale, alcun regime transitorio o rinvio alla contrattazione collettiva per un possibile, eventuale differimento della sua efficacia, l’applicazione dell’Intesa non poteva essere demandata all’autonomia negoziale.
Un eventuale contratto collettivo in materia avrebbe potuto essere ritenuto nullo per contrasto con norme imperative (il d.lgs. n. 150/2009), con conseguente applicazione del sistema sanzionatorio della etero-integrazione contrattuale (sostituzione di diritto delle clausole nulle con quelle legali violate, ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, del codice civile).
Tale sanzione, infatti, è ora espressamente prevista anche per i contratti collettivi nazionali di lavoro dall’art. 2, comma 3-bis, del d.lgs. n. 165/2001, per garantire il rispetto degli ambiti di competenza per essi fissati dal legislatore.
Per il secondo punto rilevante dell’Intesa, la definizione del sistema di relazioni sindacali, alla luce dell’Accordo quadro sui nuovi assetti contrattuali del 22.1.2009 e della Intesa applicativa dello stesso al settore pubblico del 30 aprile 2009, non si è posto il medesimo problema.
Trattandosi di materia sicuramente negoziale, essa viene demandata ad uno specifico accordo quadro negoziato dall’ARAN e dalle Confederazioni sindacali rappresentative, per il quale il Governo ha assunto, nella stessa Intesa, l’impegno ad una sollecita definizione del relativo atto di indirizzo.
Occorre evidenziare, tuttavia, che anche il futuro accordo quadro dovrà, comunque, muoversi nell’ambito dei vincoli imperativi stabiliti in materia di relazioni sindacali direttamente dal d.lgs. n. 165/2001 (ad esempio, art. 5, comma 2, relativamente ai poteri organizzativi e gestionali della dirigenza), dovendosi escludere ogni facoltà derogatoria degli stessi, pena anche in questo caso la sanzione della nullità.
In tale ambito, il comma 1 dell’art. 6 del d.lgs. n. 141/2011 recepisce il punto fondamentale dell’Intesa del 4 febbraio 2011 relativo, come detto, al differimento dell’applicazione piena, a regime, della disciplina dell’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 150/2009 (la distribuzione forzata delle valutazione).
La norma, infatti, espressamente prevede che:
a) la differenziazione per fasce retributive prevista dalla riforma trova applicazione a regime solo a partire dalla tornata contrattuale successiva a quella relativa al quadriennio 2006-2009 (quindi solo con i futuri contratti triennali stipulati sulla base del d.lgs. n. 150/2009, dopo la fine del blocco attualmente fissato dalla manovra finanziaria fino al 31.12.2014);
b) nel periodo di moratoria contrattuale, ai fini dell’applicazione dell’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 150/2009, verranno utilizzate solo le eventuali economie aggiuntive - conseguenti ai processi di riorganizzazione della pubblica amministrazione - destinate all’erogazione dei premi dall’art. 16, comma 5, del d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 111/2011.
La nuova disciplina, quindi, ha carattere esclusivamente transitorio.
Nell’ambito della moratoria contrattuale, tuttavia, le disposizioni dell’art.19, comma 2, del d.lgs. n. 150/2009 potranno comunque trovare applicazione, ove sussistano effettivamente, presso ciascuna PA, risorse aggiuntive conseguenti alla attuazione dell’art. 16, comma 5, della L. n. 111/2011 secondo le condizioni e le modalità ivi indicate.
Giova evidenziare che, nei termini in cui è formulata, tale disciplina non può in alcun modo essere interpretata in senso estensivo, al di là delle finalità cui è chiaramente preordinata.
In particolare essa non si presta in alcun modo ad essere intesa nel senso di incidere anche sulla operatività ed attuabilità anche di tutti gli altri strumenti comunque finalizzati a premiare il merito e la professionalità nonché sulle altre disposizioni in materia del d.lgs. n. 150/2009, che non abbiano alcun collegamento diretto o indiretto con la specifica disciplina dell’art. 19, comma 2, del suddetto decreto legislativo.
Pertanto, ben potrà accadere, anche nel regime transitorio, che un dipendente, a prescindere dalle fasce retributive, sia comunque escluso dai compensi incentivanti la produttività “ordinari”, come attualmente previsti e disciplinati, in presenza di una valutazione assolutamente negativa delle attività svolte e dei risultati conseguiti dallo stesso, secondo i principi generali.
Infatti, i nuovi contratti integrativi devono comunque attenersi, relativamente ai vari istituti del trattamento economico accessorio (progressioni economiche orizzontali, incentivi alla produttività, ecc.) ai principi di necessaria selettività e valorizzazione del merito sanciti dal d.lgs. n. 150/2009 (FP circ. n. 7/2010).
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